In realtà quella della Week è solo una scusa, che coglie l'occasione di commemorare una tragedia - quella avvenuta il 24 Aprile 2013, giorno in cui più di 1000 persone che lavoravano in una fabbrica tessile in Bangladesh hanno perso la vita a causa del crollo della struttura - che è l'evento a seguito del quale è nato il movimento Fashion Revolution, essenzialmente con lo scopo di invitare a riflettere sul motivo per cui tale incidente è avvenuto e su come, volenti o nolenti, del sistema che l'ha generato facciamo parte un po' tutti.
In particolare l'obiettivo del movimento è di sensibilizzare sul tema della fast fashion - ovvero del mutare incessante e frettoloso delle tendenze della moda, in un'economia capitalista basata sul consumismo - e di tutte le conseguenze negative che essa comporta in termini di vite umane, spreco di risorse e inquinamento ambientale, promuovendo una nuova consapevolezza nel consumatore, affinché quella della moda diventi un'industria più etica e sostenibile, che tenga conto in egual misura delle persone, dell'ambiente, della creatività e del profitto.
Spesso, infatti, di fronte a queste cose pensiamo di non avere alcun potere e ci limitiamo ad esserne vittime - e carnefici - in maniera passiva.
In realtà invece noi consumatori abbiamo un ruolo importante, perché ogni volta che compriamo qualcosa stiamo facendo una scelta, e ciò per cui scegliamo di spendere i nostri soldi è rappresentativo dei nostri valori, di ciò in cui crediamo e delle cause che sosteniamo.
Allora, cosa possiamo fare noi per cambiare le cose?
Innanzitutto comprare meno e meglio, preferendo la qualità alla quantità e privilegiando capi realizzati con materie prime di buona qualità, che durino nel tempo e che abbiano alle spalle un processo di produzione sostenibile a livello umano e ambientale.
Il problema è che spesso le informazioni sull'intera filiera produttiva mancano anche all'azienda stessa. Per diffondere questo tipo di consapevolezza, in occasione della Fashion Revolution Week (18-24 Aprile), il movimento Fashion Revolution ha proposto l'iniziativa #WhoMadeMyClothes? cui, come spiegato anche sulla pagina italiana del sito, si può partecipare scattandosi un selfie - una volta, per una buona causa - indossando un capo d'abbigliamento al contrario, così che se ne legga l'etichetta, e condividendolo poi sui propri social taggando l'azienda di riferimento e ponendole, appunto, la domanda Chi ha fatto i miei vestiti?
Il tentativo è quello di promuovere la trasparenza, riconnettendo il creatore del prodotto al consumatore finale, affinché questi possa effettuare una scelta consapevole al momento dell'acquisto.
#fashionrevolution #FashRev #whomademyclothes @zara @zaraitalya @fash_rev @fash_rev_italia |
Invertire la rotta è necessario e possibile.
E l'informazione e la consapevolezza sono, anche in questo caso, gli strumenti di cui disponiamo e che dobbiamo utilizzare per influenzare e rivoluzionare il modo - e il mondo - in cui viviamo (sembra retorico, ma non lo è).
E voi, parteciperete all'iniziativa?
Se vi interessa il tema e volete approfondirlo, vi consiglio caldamente il documentario The True Cost, di cui vi avevo accennato qui.
Come da titolo, il documentario indaga in maniera ampia e completa il vero costo della fast fashion, dall'inquinamento dei terreni per la coltivazione del cotone, al problema dello smaltimento, alle condizioni di lavoro nelle fabbriche, agli aspetti economici e sociali del fenomeno.
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